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Gli inuit, Greenpeace e io

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Uno degli aspetti positivi del mio lavoro è che mi capitano per le mani libri che mai andrei a cercare nelle mie incursioni da lettrice in libreria. Ad esempio, non vado mai a cercare racconti e testimonianze di scalatori o escursionisti, è un genere che di solito non suscita il mio interesse. Quindi non so bene perchè, accompagnandolo nel suo tragitto dalla scatola allo scaffale, mi sono soffermata sul libro di questo scalatore altoatesino che da trent'anni vive in Groenlandia. Forse mi ha incuriosito proprio il fatto che un italiano viva in Groenlandia da trent'anni. Sta di fatto che me lo sono portata via e me lo sono letto tutto tra autobus e letto.
Ora sapete che, nonostante io legga tanto, raramente recensisco libri, e infatti non sto per farlo. Solo che questo libro mi ha lasciato molto molto pensierosa e volevo condividere con voi le mie perplessità.
Io, onestamente, degli inuit sapevo ben poco, a parte che sono un popolo molto buffo a vedersi, estremamente pacifico e che vive sostanzialmente di caccia e pesca (sì per questo basta l'intuito lo so, dubito che coltivino pomodori...). Probabilmente sapevo anche che era un popolo più o meno in via di estinzione, ma ne ignoravo il motivo, attribuendolo per ipotesi a un certo tasso di emigrazione, ai giovani che non ci stanno a passare la vita in mezzo ai ghiacci, che vogliono "europeizzarsi", che desiderano vedere il mondo e cercare nuove opportunità di lavoro e di vita.
 Invece in realtà i giovani, come gli anziani, stanno bene dove stanno, o meglio starebbero, perchè al momento tanto bene non stanno. Al momento non hanno praticamente di che campare e non è colpa del surriscaldamento globale ma fondamentalmente di Greenpeace e della campagna contro la caccia alle foche. 
Gli inuit della Groenlandia fanno capo alla giurisdizione del regno danese ma sono alquanto autogestiti: non hanno gerarchie all'interno dei loro villaggi, non hanno il senso della proprietà, non si arrabbiano mai, il che potrebbe sembrare anche strano, ma se poi pensi a dove si sono adattati a vivere ti immagini che un certo spirito di abnegazione e tolleranza deve essere insito in loro.
La loro vita è fatta sostanzialmente di caccia, pesca e tanta condivisione. Un'altra caratteristica che li rende ai miei occhi persone davvero belle e felici è che non hanno il senso dell'accumulo: quando hanno bisogno di mangiare vanno a caccia/pesca e, importante, praticano una "caccia ecologica", ossia, una volta che un animale deve morire, ne sfruttano ogni parte, la carne per mangiare, la pelle per cucire vestiti e kajak e, in minima parte, da vendere per procurarsi altri beni di necessità. E se la carne è troppa per essere consumata tutta ne regalano in giro.
Poi, nel 2009, è arrivata Greenpeace e la campagna contro la caccia alle foche, colpevolizzando questa gente per il modo in cui, da millenni, provvedevano al proprio sostentamento in questa terra ostile. Ve lo immaginate questo popolo pacifico che si vede arrivare la gigantesca nave di Greenpeace, gli elicotteri a sorvolare le loro coste e a sentirsi dare degli assassini?
La UE ha dunque posto un divieto generale e indifferenziato di commercio delle pelli, ma come fa questa gente a procurarsi il sostentamento che non sia cibo, ossia, materiale per case e barche, energia, benzina etc.? Il governo danese offre sussidi agli inuit della Groenlandia ma loro non sanno che farsene, non sono abituati a gestire soldi, nè tanto meno a conservare, non capiscono perchè sentirsi colpevoli in un ecosistema perfettamente equilibrato in cui sono inseriti da sempre. E questo li snatura e li deprime, sentimento a cui non erano abituati e che non sanno come gestire, se non spendendo i soldi in alcool e togliendosi la vita per sopraggiunta incapacità di viverla.
Insomma, questa lettura mi ha decisamente colpita, e lasciata perplessa. Chi mi conosce sa che cerco di essere un'ambientalista, che sto attenta a rispettare il pianeta su cui vivo, che ho a cuore la conservazione delle specie animali e sono assolutamente contraria al loro sfruttamento. Chi mi conosce sa anche che ho sostenuto diverse campagne di Greenpeace, ma su questa faccenda sono rimasta a pensare.
È davvero un popolo di 50.000 persone, che caccia solo per il proprio sostentamento (e per sostentamento si intende mangiare per fame non per sfizio, gusto, nervoso e mai più del necessario) e caccia solo esemplari adulti il responsabile dell'estinzione di una specie animale o non sono forse le grosse multinazionali che cacciano in modo massiccio e selvaggio per vendere carni e pelli?
E soprattutto, chi siamo noi per decidere se deve sopravvivere questo cucciolo (che, ripeto, in mano agli inuit diventerebbe adulto e felice)
o questo?
Ci sentiamo buoni e giusti perchè loro lasciano gli animali vivere felici finchè, per la loro sopravvivenza, come in tutti gli ecosistemi tranne quello occidentale che non è più un ecosistema, ne ammazzano uno per sfamare la loro famiglia? In effetti da noi il problema non si pone, noi gli animali che mangiamo li fabbrichiamo direttamente, così non si estingueranno mai.
Non so, se ci si dice amante degli animali bisogna esserlo senza se e senza ma? Le cose non andrebbero contestualizzate invece che essere viste bianche o nere?
Voi come la vedete?






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